Vinitaly, meno Fiera e più modello business territoriale

VERONA – Ciò che si respira quest’anno visitando i padiglioni di Vinitaly,giunta alla sua 52^ edizione, è un cambio di passo, ancor più evidente rispetto a quanto percepito negli anni precedenti.

Vinitaly appare sempre meno “Fiera”, nel senso più stretto del termine, e sempre più modello di business e polo d’attrazione per operatori del settore, buyer ed importatori.

Nell’ultimo triennio, tale cambiamento ha portato ad un calo del numero di “curiosi” tra i visitatori della rassegna a vantaggio del numero crescente di addetti al settore, come avviene ormai da tempo in analoghe rassegne oltre confine. L’Italia è il cuore della rassegna che presenta al pubblico nazionale ed internazionale vini, attrezzature per l’enologia ma anche olio extravergine d’oliva e, più in generale, prodotti gastronomici, vere punte di diamante dell’intero settore agroalimentare made in Italy.

Ma parimenti nutrita è anche la compagine straniera sia europea che extraeuropea.

Vinitaly, il Salone più esteso al mondo in termini di superficie utilizzata, funge da porta bandiera per l’intero settore vinicolo caratterizzato da trend in costante crescita. Vinitaly è certamente business, ma anche testimonial di cultura, tradizioni e lifestyle.

Se è vero che l’Italia, in ambito viticolo, può contare su un patrimonio in termini di varietà di vitigni sostanzialmente unico al mondo con oltre 500 specie, è altrettanto vero che oggi le aziende produttrici devono guardare ai nuovi orientamenti del gusto, ai contesti sempre più ampi in cui si consuma vino, alle diminuita fascia d’età interessata al vino ma anche ai nuovi Paesi e mercati che si affacciano al mondo della viticoltura.

Nuovi ambiti, nuovi mercati, nuovo business, sul quale le aziende stanno concentrando la propria attenzione per non perdere occasioni nel diffondere il made in Italy nel mondo.

I dati dell’export agroalimentare italiano sono più che confortanti: è stata raggiunta la cifra dei 6 miliardi di euro di fatturato, con incrementi, in alcuni singoli Paesi anche a doppia cifra. Tuttavia, l’Italia non corre da sola poiché deve continuare a confrontarsi con Francia e Spagna, tradizionali competitors del settore.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un consolidamento nei mercati storici quali gli USA e Gran Bretagna, ma a destare vero interesse sono i Paesi Asiatici ed il sud del Mondo, ove potrebbero aprirsi mercati importanti in termini di volumi.

L’approccio a tali nuovi mercati impone un mutato atteggiamento da parte delle aziende produttrici: se è vero che viene sempre più richiesta la tipicità, il legame al territorio è vero anche tali mercati, lontani dal nostro Paese, devono necessariamente essere approcciati con spirito di gruppo. I Consorzi, le Denominazioni, le realtà fieristiche come Vinitaly sono oggi i mezzi più efficaci per esportare il made in Italy a costi più contenuti e con maggiore forza di penetrazione.

Un esempio quanto mai attuale potrebbe essere rappresentato dalle nuove Doc Prosecco e Pinot Grigio. La richiesta sempre crescente di prodotti sparkling, che sembra stia travolgendo il mondo intero, è stata affrontata dai produttori attraverso la riunione sotto un’unica denominazione, senza per questo rinunciare alle proprie identità, tipicità e territorialità. La denominazione deve quindi fungere da veicolo facilitatore nella penetrazione dei mercati, tanto più in quelli nuovi e lontani, come nel caso di quelli asiatici, lontani non solo geograficamente, ma soprattutto nelle abitudini alimentari e nella conoscenza della cultura del vino che certamente non appartiene a quei Paesi.

Antonio Lodedo




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