Ancora pressione sui Tech ; Tassi e Petrolio ancora su, vendite sui settori della tecnologia

Mercati Azionari

Altra settimana contrastata per gli indici azionari americani, che mantengono l’impostazione negativa di breve termine. La risalita sopra quota 3.900 dell’S&P 500 si è dimostrata infatti effimera, lasciando spazio successivamente ad un ripiegamento che ha confermato il momento poco felice, specie per alcuni segmenti di mercato. Lo storno dai massimi si è avvicinato quindi ad un 5% per il principale indice americano, mentre per quello relativo ai titoli tecnologici è ancora più significativo.
Il file rouge che unisce non solo i distinguo tra aree geografiche e settori, ma anche a livello intermarket, è il movimento al rialzo dei tassi di interesse sulla parte medio lunga della curva americana. Un aumento del free risk che trova collegamento soprattutto con le prospettive di una più forte ripresa economica, con un effetto di rimbalzo dai minimi economici del 2020. Il buon andamento della campagna di vaccinazione dovrebbe infatti consentire una ripresa dell’attività economica, incentivata anche dal piano di aiuti il governo americano si appresta ad approvare. L’unione di queste due ‘leve’ è il principale motore che va ad impattare quindi sulle stime di crescita ed inflazione, a cui i tassi stanno ormai legandosi non più solo come aspettative di prezzi più alti ma ormai anche come componente ‘reale’.
Sono già 80 milioni i vaccini somministrati negli Stati Uniti e con una media di 2 milioni al giorno nel giro di 6 mesi si arriverà ad avere il 75% delle popolazione già soggetta a due richiami (come prevedono le soluzioni vaccinali di Pfizer e Moderna). Per quanto riguarda invece il piano di aiuti da 1.900 miliardi, l’approvazione della Camera dei Rappresentanti mira a contrastare gli effetti economici della pandemia, considerando che i gap di alcuni indicatori macroeconomici (come la disoccupazione) rispetto ai valori pre pandemici, sono ancora molto consistenti.
Se quindi complessivamente l’economia reale può sperare di veder migliorato il quadro generale (considerazione che vale un po’ per tutte le aree geografiche ma, come detto, sicuramente in modo più forte per gli USA), per l’ambito finanziario i movimenti di ‘repricing’ tra le asset class si stanno concretizzando. Nell’ottava appena conclusa l’S&P 500, grazie ad uno sprint sul finale, ha recuperato circa l’1% mentre il Nasdaq evidenzia una caduta di oltre il 2%, portando la discesa dai massimi del 10% e anche il risultato 2021 in negativo. I titoli e settori ‘growth’ sono quelli più impattati mentre sono riusciti a tenere le posizioni maggiormente quei comparti che traggono vantaggio dai riflessi positivi sull’economia reale come finanziari (bancari e assicurativi) e Oil & Gas. L’impatto correttivo è maggiore sugli Stati Uniti rispetto ad altre aree geografiche, come l’Europa, sia per la dinamica dei tassi (se pur in rialzo, resta temporalmente indietro), sia per la composizione settoriale dei panieri.
Il Vix si è attestato su livelli elevati, in area 30, ossia nella parte alta del range degli ultimi mesi.

MATERIE PRIME

Il rialzo del tassi reali ha indebolito l’oro, in una tendenza che sta vedendo nuovi minimi di periodo e le quotazioni anche sotto quota 1.700 Dollari l’oncia. Tra i preziosi male anche argento e platino. Di tutt’altro segno il petrolio, su nuovi top da inizio dell’anno e con i valori in impennata fino ad area 65 Dollari al barile. Deboli invece i metalli industriali dopo le salite della scorsa settimana: deboli in particolare Nickel (-11%).

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

In ambito obbligazionario, il contesto generale è quello, come detto, di un movimento verso l’alto dei tassi di interesse: le ipotesi vanno dall’effetto ‘rebound’ dopo le forti chiusure delle attività produttive, alla tesi del segnale da parte del mercato indirizzato alla Fed fino ai timori fondati di avere un’inflazione strutturalmente più alta in futuro.
L’effetto pratico è un ulteriore declino dei prezzi dei governativi americani, con la curva che tende a irripidirsi sempre di più: ad agosto il differenziale tra la scadenza a 10 anni e quella a 2 anni era 0 a settembre 2019 e si attesta ora a 140 basis point e con una tendenza ancora in salita.
E’ l’effetto della catena a cui sono ancorati i tassi a breve, governati dalla mano diretta della Fed (tassi a 0-0,25%) e la libertà invece con cui si muovono quelli a medio lungo, bloccati fino a fine 2020 ma che ora esprimono le tendenze viste nelle ultime settimane. Il decennale americano, infatti, dopo lo spyke a 1,60% della precedente settimana, non ha perso la propria verve rialzista e rimane indirizzato verso test di livelli anche superiori (ad esempio area 2% di fine 2019). Al pari, il rendimento trentennale si è attestato al 2,30%, con un delta verso inizio anno di ben 70 basis point, a conferma del movimento dell’interna curva dei titoli di stato americani.
Durante la settimana erano attese anche le dichiarazioni del Presidente della Fed Jerome Powell, che, però, a ben vedere non hanno avuto una particolare efficacia nel contrastare il movimento al rialzo dei rendimenti. Powell, infatti, si è limitato a constatare la possibilità di qualche pressione al rialzo dei prezzi susseguente alla riapertura dell’economia, ma senza indicare una precisa strategia nell’affrontare le ansie dei mercati su possibili strette sui tassi. Powell non solo le ha negate ma ha anche chiarito che sulle transitorie pressioni al rialzo sui prezzi la Fed sarà paziente e tollerante, di fatto, non ipotizzando alcun cambiamento della politica monetaria. I dati del Beige Book, usciti durante la settimana, hanno mostrato un’economia certamente in recupero ma a tassi modesti nella maggior parte del paese.
La pressione sui rendimenti ha interessato comunque non solo gli USA ma anche altre aree geografiche vicine, come il Canada, mentre è leggermente scemata in Europa, UK, Australia e Giappone. Per quest’ultimo, da segnalare l’intervento del governatore Kuroda, che ha di fatto smentito, almeno per il momento, intenzioni di rimodulare il controllo della curva. Contrastato l’andamento del debito corporate investment grade: in recupero sulla zona Euro, in flessione invece negli USA per effetto dell’aumento dei tassi.
Positivo l’ambito dell’alto rendimento mentre il debito emergente ha sofferto per l’aumento dei tassi USA.

MERCATO VALUTARIO E BITCOIN

Il mercato forex ha riflesso in qualche modo le dinamiche sui tassi, con una maggiore appetibilità per la divisa americana. Flettono infatti, rispetto al Dollaro USA, le valute ‘risk on’, da quelle emergenti allo stesso Euro. Il cross con il Dollaro è tornato sotto quota 1,20, ai minimi da 3 mesi, con il biglietto verde rafforzato dalle news sul piano vaccinale americano.

Dott. Alessandro Pazzaglia Consulente Finanziario Autonomo, www.pazzagliapartners.it




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