Powell non frena i tassi USA ; tra le borse bene l’Europa, scende il petrolio

MERCATO AZIONARIO

Settimana dalla doppia faccia quella vista nei listini azionari internazionali, con gli indici USA capaci, prima, di trascinare al rialzo le altre borse e, successivamente, visti in ripiegamento nel finale.
La ‘verve’ del principale indice americano, l’S&P 500, è stata comunque tale da consentire un nuovo ritocco dei massimi storici e intravvedere quota 4.000. Più in difficoltà, invece, il Nasdaq 100 che continua la propria fase di sottoperformance: la correzione tecnica iniziata a metà febbraio non è stata recuperata e l’indice si trova ora in mezzo al guado, tra il top storico e i minimi relativi di inizio marzo (range 12.200-13.900).
La sottoperformance del Nasdaq 100 e il declino sul finale degli indici americani hanno lo stesso denominatore, ossia il rialzo dei tassi di interesse sulla parte medio lunga della curva, che finisce per innescare sia repricing nelle valutazioni dei titoli, sia rotazioni settoriali a favore dei comparti più ciclici, sia geografiche. Le dichiarazioni di Powell hanno visto Wall Street ambivalente nelle reazioni: le nuove stime di crescita per l’economia USA hanno spinto i listini nel loro trend rialzista di breve, ma le stesse, poi, hanno innescato nuovi rialzi dell’yield sui titoli a lunga scadenza, di fatto riportando indietro gli indici.
Un trade off che porta in negativo i saldi settimanali degli indici USA (S&P e Nasdaq tra -0,5% e -1%, Russell -2,5%), che solo momentaneamente hanno guardato alle migliori prospettive economiche, per poi concentrarsi sui possibili effetti in termini di politica monetaria. Gli investitori, infatti, guardano avanti e temono che le stime fornite da Powell possano portare poi, nel medio termine, ad una significativa riduzione dell’impegno monetario della Federal Reserve, nonostante le dichiarazioni del Governatore vadano ancora nell’altra direzione.
Le volatilità vista sugli indici USA sono state meno presenti in Europa, dove le tensioni sui tassi di interesse non sono ancora minimamente visibili: il Vecchio Continente è ‘indietro’ nel recupero economico rispetto agli USA e ha anche dei listini con una minore esposizione ai settori di tipo growth. Da qui il buon andamento soprattutto del Dax (+0,8%), sospinto dal forte apprezzamento del settore auto europeo e dalle attese di crescita del segmento elettrico. Il tema della pandemia e dei vaccini (con il provvisorio stop in Europa all’inoculazione di quello di Astrazeneca) ha avuto un ruolo complessivamente marginale, mentre negli USA il piano di contrasto al Covid-19 sta andando ancora piuttosto bene.
In ambito settoriale e tematico: debole tutta la filiera tecnologica e l’energy (quest’ultimo indebolito dal repentino calo del prezzo del petrolio), bene invece difensivi come food&beverages e health care. Il rialzo tassi e il calo del greggio hanno impresso segni meno ai paesi emergenti, soprattutto nell’area asiatica.

MATERIE PRIME

Nell’asset class delle materie prime, improvviso storno del prezzo del petrolio che storna di oltre il 6%: timori sulla domanda globale (cinese in particolare) e contrasti geopolitici internazionali hanno portato all’interruzione del trend di breve, portando i prezzi anche sotto quota 60 $ al barile. In leggero progresso l’oro (+1%), sempre comunque in area 1.700-1.750$, ma tra i preziosi è il Palladio a primeggiare (+11%).

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

La settimana del reddito fisso è stata incentrata sulla riunione della Fed, molto attesa per conoscere le dichiarazioni del Governatore Powell in merito alle prospettive della politica monetaria americana.
Facendo un po’ la sintesi di quanto comunicato, si evince come non siano emerse particolari novità rispetto a quanto già delineato negli scorsi mesi, ossia la continuazione di una posizione ultra accomodante per favorire il più possibile il recupero dell’economia dopo tutte le problematiche causate dal Covid-19. Per questo motivo la Fed manterrà i tassi di interesse fermi almeno fino al 2023, evidenziando come alcuni gap presenti ancora negli indicatori macroeconomici abbiano bisogno di tempo per tornare ai livelli pre pandemici. Un percorso che dipenderà dall’andamento, nei prossimi trimestri, della crisi pandemica (varianti e altri ‘incidenti’ di percorso) e dall’efficacia delle misure di contrasto messe in atto (piani vaccinali).
Detto questo, la Fed ha comunque rivisto al rialzo le stime di crescita per il 2021, con una netta review al rialzo dal +4,5% al +6,5%, ma anche dell’inflazione, vista salire al 2,4% quest’anno prima di tornare a raffreddarsi nel 2022. L’azione di politica fiscale messa in atto dall’amministrazione Biden, unitamente alla ‘potenza di fuoco’ della Fed (che continuerà i propri acquisti di asset mensili da 120 mld di Dollari), dovrebbe permettere sia la recovery economica, sia il raggiungimento degli obiettivi sui prezzi e sull’occupazione.
Se questi dati hanno avuto un (primo) effetto benefico su Wall Street, dall’altra parte, il mondo obbligazionario non è stato a guardare e continua a divergere, anche in modo significativo, rispetto alle parole della Fed. La quale non ha nemmeno enfatizzato su possibili interventi sulla curva dei rendimenti, almeno nella sua parte medio lunga. Questo ha incentivato ancora le dinamiche reflazionistiche, con l’effetto di vedere il decennale americano svettare verso nuovi massimi (1,75%) e una chiusura poco sotto (1,72%) ed il trentennale toccare quota 2,50%, valori che non si vedevano da luglio 2019. Secondo la Federal Reserve, i bollori inflazionistici che si potranno presentare nei prossimi mesi saranno transitori e riassorbiti in tempi breve, senza avere, quindi effetti sulla struttura della politica monetaria.
Gli effetti sugli indici obbligazionari vedono quindi segni meno dovuti all’aumento dei tassi di interesse ed il fenomeno riguarda non solo gli USA, ma anche UK, Svizzera e Australia. Nella zona Euro si è avuto un effetto trascinamento che ha riguardato sia l’area ‘core’ sia quella periferica: decennale tedesco in area -0,25%/-0,30% e italiano a 0,65%/0,70%, ma tutti i paesi hanno visto in calo i prezzi dei rispettivi titoli di stato. Da segnalare per la Bank of Japan la modifica (in senso ampliativo) del range nel controllo dei rendimenti a medio lungo termine.I rialzi del free risk hanno portato a qualche flessione anche sul fronte corporate, in particolare US, caratterizzato da una duration più elevata.

MERCATO VALUTARIO

In ambito forex, nonostante la riunione della Fed, non si sono avuti particolari movimenti per il cross Euro Dollaro USA, rimasto nel range 1,19-1,20, quindi senza particolare direzionalità sul trend di breve. Qualche recupero per le valute emergenti (TRY, MXN e ZAR). Il Bitcoin resta molto tonico: nella settimana (+2,5%) è stata toccata anche quota 60.000 Dollari, confermando l’uptrend di breve.

Dott. Alessandro Pazzaglia Consulente Finanziario Autonomo www.pazzagliapartners.it




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